La menopausa comporta spesso per le donne un netto cambiamento della qualità di vita: vampate, sudorazioni notturne, insonnia, cambiamenti del tono dell’umore, problemi sessuali, difficoltà di concentrazione e di memoria possono rendere veramente difficoltoso questo periodo. La percentuale di donne che riferisce questi sintomi supera di gran lunga il 50% e se pensiamo al ruolo che la donna oggi ricopre nel mondo del lavoro e nella famiglia, possiamo immaginarci come questi disturbi possano impattare in modo estremamente negativo.
Nel 2025 in menopausa 1 bilione di donne
Inoltre il problema è vasto se pensiamo che l’aumento della durata della vita media, farà si che nel 2025 nel mondo ci saranno circa 1 bilione di donne in menopausa.
Terapia ormonale sostitutiva e prevenzione
Eppure ancora oggi, molte donne preferiscono non assumere la terapia ormonale che invece rappresenta lo strumento più efficace per risolvere questi disturbi e anche per fare prevenzione di tutte quelle patologie correlate all’invecchiamento e alla carenza di ormoni. Sappiamo che questi sintomi dopo un periodo piuttosto lungo (circa 5 anni) in un buon numero di donne si autorisolvono, ma perché non eliminarli all’origine? Cosa le spaventa?
Alcune ritengono, giustamente, che la menopausa non sia una malattia ma solo una fase della vita. Concetto sacrosanto, ma che, per questo, non vada trattata è tutto da valutare. Perché, pur riconoscendo la menopausa come uno stato normale della vita della donna, non possiamo curarne i disturbi e continuare ad avere una buona qualità di vita?
Perché fa ancora paura?
Il destino della terapia ormonale sostitutiva è stato alterno negli anni: nell’immediato dopo guerra sono cominciati a comparire sul mercato prodotti in cui gli ormoni utilizzati venivano sintetizzati in laboratorio o erano di estrazione animale. Uno dei più utilizzati ricavava gli estrogeni dalle urine delle cavalle. Poi ha cominciato a farsi largo, soprattutto negli Stati Uniti, il concetto che la terapia ormonale, anche a dosaggi alti, potesse risolvere molti dei problemi delle donne ed essere un mezzo per rallentare l’invecchiamento e le patologie ad esso correlate.
In quegli anni molte donne hanno intrapreso una terapia sostitutiva (negli Stati Uniti circa il 40% delle donne la assumeva) e quindi grande interesse è nato da parte delle aziende farmaceutiche per questo settore facendo sì che investissero nella ricerca e nella creazione di nuovi preparati.
Quali rischi?
Con gli anni abbiamo anche studiato e compreso che potevano essere correlati alcuni rischi. Soprattutto un aumento del rischio trombotico (così come per altre terapie ormonali come la pillola). Inoltre, aumentando il periodo in cui la mammella rimane esposta a una stimolazione ormonale prolungandolo oltre la menopausa, poteva aumentare il rischio di sviluppare un tumore al seno (in realtà cosi è anche per le donne che hanno una menopausa più tardiva in modo spontaneo). Da allora la percentuale di donne che ha assunto la terapia è andato diminuendo e soprattutto in Italia è sempre stato piuttosto basso.
Lo studio americano che ha confuso le cose
L’ultimo vero colpo è stato però inferto alla terapia ormonale nel 2002, anno in cui è stato pubblicato uno studio americano (Women Health Iniziative- WHI) che aveva arruolato ben 16.000 donne. Lo studio è stato interrotto prima della fine del periodo di osservazione previsto perché, al di là della conferma del minimo incremento di rischio di tumore mammario peraltro già noto, aveva evidenziato un notevole aumento di eventi cardiovascolari (ictus ed infarto) nelle pazienti che assumevano la terapia. L’opinione pubblica ha notevolmente dato eco a questo lavoro scatenando nelle donne e nella stessa classe medica una sempre maggior propensione a non prescrivere ed assumere la terapia.
I nuovi studi rivalutano la Terapia ormonale sostitutiva
Ci sono voluti 20 anni di intensa attività di ricerca per capire e rivalutare i risultati di quello studio. Intanto è apparso subito chiaro che le donne arruolate (età media 63 anni e nella maggioranza dei casi obese e con fattori di rischio cardiovascolari preesistenti all’arruolamento) non sono le donne a cui, soprattuto in Italia, viene prescritta la terapia. Successivamente la rianalisi di questi dati e nuove ricerche ci hanno portato assolutamente ad assolvere e rivalutare la efficacia e la sicurezza della terapia.
I benefici superano i rischi
Oggi le società di menopausa di tutto il mondo ci indicano che se la terapia viene prescritta nei primi 10 anni dalla menopausa e comunque entro i 60 anni della paziente, i benefici superano di gran lunga i rischi e che bisogna sempre personalizzarla scegliendo terapie diverse per principio attivo, dosaggio e via di somministrazione a seconda della paziente.
La durata conta
Anche il concetto della durata della terapia è diventato più flessibile (non più solo per 5 anni come era stato in passato) partendo dalla considerazione che il rischio diventa gradualmente maggiore con il tempo, la durata della terapia va rivalutata nel tempo senza un limite massimo.
La Terapia ormonale sostitutiva protegge da molte patologie
La conferma del ruolo protettivo della terapia sulle patologie del lungo termine (osteoporosi, malattie cardiovascolari, riduzione delle funzioni cognitive, Alzheimer e demenza, cancro del colon) permette anche di impostare terapie, magari con dosaggi più bassi o con minor impatto metabolico (vedi il grande successo della terapia con ormoni bioidentici) anche per lungo periodo.
La rivalutazione dei rischi
È ormai confermato che le donne che assumono la terapia hanno una riduzione del 30% del rischio di mortalità per tutte le cause. È stato anche rivalutato l’aumento di rischio di tumore mammario che è apparso ben inferiore a quello che si può avere anche solo per un consumo giornaliero di due bicchieri di alcool o di quello correlato al sovrappeso. L’opinione pubblica però non ha dato eguale risalto, rispetto al 2002, a queste notizie.
Il 28 Aprile scorso il Washington Post ha riportato un editoriale che esprimeva la richiesta di una “nuova generazione di donne che entra in menopausa” capeggiate da Michelle Obama di avere giuste informazioni e rassicurazioni, in primis dal National Institute of Health e da FDA, riguardo la sicurezza della terapia ormonale in modo che non vengano private, come è stato per le donne del ventennio precedente, del benessere che possa derivare dall’uso della terapia ormonale. Richiesta ancora più doverosa se si pensa che solo il 20% dei medici ha le conoscenze adeguate ed è in grado di prescriverla correttamente. Forse è veramente arrivato il momento di smettere di avere paura della terapia ormonale sostitutiva e di cominciare a trarre tutti i vantaggi che può darci il suo utilizzo.